Nell’ambito dell’età evolutiva, la problematica che molto spesso mi viene riportata dai genitori riguarda lo svolgimento dei compiti dopo la scuola. Come è possibile? Quali sono i motivi che rendono difficile questo momento e quali le strategie e gli atteggiamenti che si possono attuare per gestirli al meglio?
Partiamo innanzitutto con il dire che le motivazioni vanno ricercate osservando il comportamento del bambino dinanzi ai compiti e chiedendo cosa in particolare mette in difficoltà. Questa duplice attenzione ci permette di capire se il problema è di natura organizzativa oppure legata a veri e propri disturbi dell’apprendimento. In entrambi i casi, comunque, dovremo attuare strategie educative che presuppongano l’utilizzo di strumenti che motivino e facilitino lo svolgimento dei compiti.
L’apprendimento una Questione di Motivazione. Apprendere è un processo dinamico, naturale per l’uomo che sin dalla più tenera età permette di sviluppare capacità di adattamento e conoscenza di sé e del mondo. Essendo dinamico però necessita di prove, ripetizioni e nel tempo diventiamo abili nel selezionare quelle informazioni e quelle attività che ci risultano gradevoli e utili nel raggiungimento di scopi.
Il passaggio dalla scuola dell’infanzia a quella primaria accelera questo processo. I bambini dai tre fino ai cinque anni vivono ogni giorno un luogo strutturato ed organizzato secondo le loro esigenze, le attività proposte e i tempi sono veloci e l’insegnamento passa attraverso il gioco. Al contrario, alle elementari, i bambini vengono chiamati a rispettare tempi e attività molto più lunghi. Alle elementari si insegna e si apprende seduti e ogni materia è un insieme di significati sempre nuovi, il più delle volte poco pratici e molto astratti. Lo sforzo cognitivo richiesto diventa nel giro di pochi anni molto più pesante. Il gioco, che dapprima era mezzo indispensabile per insegnare è via via lasciato a momenti liberi come la ricreazione.
Questo passaggio può causare difficoltà e l’apprendimento potrebbe risultare più faticoso proprio perché meno motivante. I bambini rispetto agli adulti non sono in grado di cogliere l’utilità a lungo termine delle materie che studiano, ecco perché il più delle volte risulta inefficace provare a convincere i propri figli a fare i compiti dicendo loro che la matematica gli servirà in un futuro o che la storia genera conoscenza. I bambini, agiscono d’istinto e vivono il presente, sperimentano senza farsi domande e si muovono verso ciò che preferiscono. I compiti potrebbero non rientrare tra le attività preferite, specialmente dopo tante ore di scuola.
Anche nei casi di disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disgrafia), il bambino ha un notevole carico cognitivo che non riesce a gestire. In questi casi poi, subentra la frustrazione in quanto oltre a percepire enorme fatica, non si riesce a stare “al passo” con il resto della classe.
Quali strategie verso l’autonomia nel fare i compiti. Quando ai genitori propongo di mettere in atto alcuni cambiamenti nell’esecuzione dei compiti, il più delle volte leggo il dubbio sui loro volti. Se un bambino ha serie difficoltà nello svolgere a casa le attività scolastiche è necessario che almeno uno dei due genitori segua bene le indicazioni. Questo significa, avere due ore di tempo da dedicare alle difficoltà del proprio figlio, aver compreso chiaramente la strategia educativa, percepirsi come sostegno alle difficoltà, concentrarsi sui miglioramenti, anche quelli piccoli e avere pazienza.
Come ho già sottolineato in precedenza, con parole più tecniche, i bambini non vogliono fare i compiti perché li trovano noiosi, difficili, oppure perché hanno di meglio da fare. La loro motivazione è pari a zero. Ora, immaginiamo di aver lavorato per otto ore di fila, di aver fatto al meglio il nostro mestiere, di aver rispettato le regole di entrata e di uscita, di essere stati abbastanza performanti. Siamo arrivati al termine della giornata e finalmente possiamo tornare a casa, ma una volta giunti davanti la porta dell’uscita, il capo ci chiama e ci chiede di fare uno straordinario. Verrà pagato, certo, ma fra qualche tempo.
Ora, immaginate la voglia che avreste nel tornare indietro e ricominciare da capo solo perché quello straordinario, tra qualche tempo vi verrà pagato.
Cosa vi farebbe vivere meglio quelle ore in più? La risposta potrebbe essere ad esempio un incarico più leggero, avere tra un compito ed un altro la possibilità di fare una pausa oppure pensare che alla fine dello straordinario andrete a mangiare qualcosa nel vostro ristorante preferito.
Questo è ciò che deve avere chiaro il bambino durante i compiti: cosa deve fare, come lo deve fare, in quanto tempo lo deve fare e cosa può ottenere subito dopo.
Esistono molte strategie educative che facilitano questo processo come ad esempio l’inserimento della Token Economy, un sistema attraverso il quale il bambino vince un punto ogni qual volta applicandosi riesce ad andare avanti con i compiti. Se il bambino sperimenterà la propria autoefficacia nello svolgimento dei compiti diventerà sempre più autonomo.
E’ importante prestare attenzione ai comportamenti dei bambini in ambito scolastico, molto spesso semplici accorgimenti educativi possono fare la differenza. Nei casi più complessi, nei quali è necessaria un’azione terapeutica, oltre al coinvolgimento della famiglia e degli specialisti, fondamentale diventa l’azione da parte della scuola che inserendo strategie e adeguati snellimenti del programma scolastico contribuisce alla qualità dell’apprendimento di studenti con disturbi specifici dell’apprendimento.