Per psicoterapia intendo da sempre l’incontro fra due persone che creano per definizione una relazione unica
e irripetibile. L’incontro fra due realtà psichiche. Solo queste due entità potranno in un contesto protetto,
quale l’analisi, creare un rapporto tanto intimo quanto sincero. Inevitabilmente, si svilupperà una forma di
influenza reciproca, che andrà nel corso della terapia acquisendo nuovi significati.
La comprensione è uno degli aspetti fondamentali: trattasi di una forma di comunicazione che prevede
l’accettazione in assenza di giudizio di parti altrui finora inesplorate. Ciò porta a riconoscere quanto questa
condivisione si sviluppi fra soggetti diversi, con ruoli diversi. Nell’ascoltare e accogliere l’altro si fa
esperienza di separatezza, condividere un aspetto di sé con un altra persona rende questa sì vicina, ma allo
stesso tempo spettatore partecipante. Il silenzio, anche, ha un significato del tutto nuovo: è il concedere
spazio all’altro, al fine di esplorare aspetti ancora inesplorati.
Ci si permette così di sperimentare una nuova forma di pensiero. Il pensare e il sentire vanno di pari passo,
appartengono all’unisono alla stessa realtà (Bion, 1970). Questo incontro segue le regole del setting, il
contenuto e il contenitore che delimita e regola gli scambi fra paziente e terapeuta. Per setting ci si riferisce a
parametri specifici, quali per esempio tempi e spazi, ma anche al luogo in cui poter percepire una “cornice
sicura” (Lang, 1998) che permetta di comprendere il mondo interno del paziente. Come afferma Ogden
(2016) servono due persone per pensare l’esperienza altrui. Del resto la stessa etimologia della parola
psicoterapia richiama all’incontro fra la psiche (che in greco significa anima) e la terapia, branca della
medicina che ha lo scopo di combattere e/o alleviare disturbi e malattie. Il risultato non potrà che essere ogni
volta una realtà nuova, arricchita da aspetti più o meno coscienti, caratteristici della parti in gioco.
La cura si fonda sulla parola (Freud, 1904), come del resto sull’incontro di due differenti linguaggi, quello
del paziente e quello dell’analista (Ogden, 1977).
Scrivo queste righe al mio 31esimo giorno di quarantena. Per tempo mi sono interrogata su come proseguire
e mantenere vive le relazioni terapeutiche in essere fino al momento della chiusura, oserei dire blindatura, di
un Paese. La psicoterapia si fonda, come più volte qui ripetuto, su l’incontro. Allora da qui, all’utilizzo delle
moderne tecnologie, al fine di mantenere l’incontro, il passo è stato breve. Scoprire e costruire insieme al
paziente una nuova virtuale realtà è stato la diretta conseguenza della pandemia. Forse è in assoluto la prima
volta, nella mia esperienza, che il reale, l’esterno, sia entrato con tanta prepotenza nella seduta analitica. La McWilliams, in quarantena negli Stati Uniti, in questi giorni, ha affermato che nella quasi totalità delle sue
sedute il Covid-19 occupata buona parte degli scambi terapeutici. Di sicuro siamo tutti di fronte ad una realtà
mai pensata, inaspettata, imprevedibile e conseguentemente spaventosa. Ma qui è d’obbligo fermarsi a
riflettere, a pensare a come tutto il mondo, natura compresa stiano reagendo ad una tale minaccia. In Italia
abbiamo assistito a scene di solidarietà e devozione straordinarie, riferendomi qui tanto alle categorie
lavorative impegnate direttamente alla lotta contro il corona virus quanto a tutti i piccoli, silenziosi eroi che
nella vita di tutti i giorni hanno teso una mano verso il proprio vicino. La natura sta riprendo il sopravvento
per flora e fauna.
Allora mi chiedo, non è questo forse il momento giusto per fermarci a riflettere su cosa fin qui l’uomo ha
creato e allo stesso tempo distrutto? Su quanto delle nostre vite sia stato fin qui dato per scontato? Su
quanto le nostre priorità debbano forse cambiare? La forza del cambiamento parte da ciascuno di noi, con
uno sforzo e impegno analogo a quello riservato ad un percorso di psicoterapia.
Quanto possa essere salvifico sperimentare un’altra modalità di stare al mondo? Di creare uno spazio terzo,
differente da ciò che è stato fatto finora? Uno spazio terzo analogo a quello che viene a crearsi in terapia
con l’incontro del paziente e del proprio terapeuta.