Nella società moderna frequentemente le coppie, per
diverse motivazioni, arrivano a valutare, ed alcune a
scegliere, la separazione. La decisione di separarsi
quasi sempre giunge in modo disequilibrato: un partner
più dell’altro ha maturato la decisione imponendola
inevitabilmente all’altro. Questo disequilibrio può
inoltre impattare sulla dimensione emotiva,
provocando frequentemente rabbia e dissapori interni
alla coppia, fino ad arrivare al coinvolgimento delle
famiglie di origine e del contesto amicale, con
schieramenti in uno dei due fronti e guerre.
Ancora più complessa è la situazione nella quale sono
presenti i figli, tanto che spesso sentiamo dire la frase
<si stanno separando, ma per fortuna non hanno
figli!>>. Una frase che sicuramente rappresenta un
luogo comune, ma che racchiude al suo interno la
complessità della separazione e il suo amplificarsi in
presenza dei figli.
La separazione rappresenta un processo di frattura e di
ri-costruzione del nuovo “essere famiglia”. In questo
processo alcune coppie arrivano, nonostante le
difficoltà, con una serena maturità, soprattutto se
seguite da professionisti; altre invece con livelli di
conflittualità elevati. Al di là del dolore interno ai due
partner, che può essere lavorato attraverso una
psicoterapia, queste due macro modalità di separarsi
impattano profondamente sui figli. Di per sé la
separazione dei genitori rappresenta per i figli un
grande lavoro interno rispetto al “noi familiare”,
all’identità di famiglia e la sua identità di figlio. Questo
perché i bambini crescono interiorizzando il “noi” di
coppia genitoriale: i genitori sono un tutt’uno, una
coppia, un insieme. Con la separazione il bambino è
chiamato a scindere dentro di sé questo tutt’uno. Nel
bambino, così come nell’adolescente, seguono poi
domande sul <come sarà poi>, sul <dove andrò a
vivere>, <sarò una pallina da ping-pong>, <se
vado di là, poi qui chi rimane>, e soprattutto <si
sono separati per colpa mia!>..
Credo che tra gli aspetti più complessi, e al tempo
stesso più caratterizzante, di una separazione vi sia il
livello di conflittualità.
Separarsi non è facile, considerando che vi è un
qualcosa, nel tempo, che ha spezzato la relazione. È
molto difficile riuscire a non provare emozioni forti
verso l’altro partner. Questa complessità può impattare
sul sano sviluppo dei figli, che inevitabilmente
assorbono quanto sta accadendo alla loro famiglia, e
tra le cose più nocive c’è la conflittualità, che può
manifestarsi attraverso la mancata promozione della

frequentazione del bambino con l’altro genitore o con i
nonni e parenti, attraverso il parlare male dell’altro
genitori e della sua famiglia. Ma vi è anche una
conflittualità più mascherata, che comunque nuoce ai
figli, che è quella che si traveste di frasi tipo <<è colpa di tuo padre se ci ritroviamo così>>, <<è colpa di tua madre che non mi ha detto della recita!>>, <dì a tuopadre che ci deve mandare i soldi!>, <non posso
mai sentirti la sera perché tua madre dice che stai dormendo!>, ecc.
Mi ripeto, ma tutto ciò nuoce i figli. Innanzitutto
perché i figli vengono triangolati nella non-relazione
genitoriale, ovvero divengono il mezzo attraverso il
quale i due genitori comunicano. Nuoce inoltre perché
l’altro genitore è parte dell’identità del figlio, e se
quella parte del ramo familiare è brutta e cattiva,
questo si traduce nel bambino di avere dentro di sé una
parte brutta e cattiva, ovvero lui potrà sentirsi brutto e
cattivo. Nuoce inoltre perché l’immagine del maschile
e del femminile provenente da entrambi i genitori egli
lo porterà con sé lungo il corso della vita: attraverso
l’identificazione con il genitore dello stesso sesso, la
definizione della propria sessualità, la ricerca dei
partner, e molto altro ancora. Altro aspetto che può
derivare da ciò è la strumentalizzazione dei figli come
braccio armato nella guerra contro l’altro genitore.
Cosa emerge da quanto sopra? L’invisibilità dei figli,
l’invisibilità dei loro bisogni evolutivi.
Da psicologa dell’età evolutiva, psicoterapeuta di
coppia e familiare, nonché da mediatrice familiare in
formazione, ritengo sia fondamentale accompagnare le
coppie a comprendere la differenza tra coppia
coniugale, che è quella che si separa, e coppia
genitoriale, dalla quale non ci si può mai separare:
genitori lo si è sempre. Questo ci pone davanti ad un
obiettivo importante: trovare il modo di continuare ad
essere coppia genitoriale pur non essendo più coppia
coniugale, proprio perché ci si può separare dal partner
ma non dai figli, e questo vale per entrambi i genitori,
ciò significa che l’ex coniuge ci sarà per sempre nella
vita dei figli in comune e questo richiama alla necessità
di trovare un modo di essere genitori insieme seppur
separati.
Come fare?
Il raggiungimento di questa nuova omeostasi può
essere molto doloroso e tutti noi abbiamo il diritto di
poterci rivolgere a dei professionisti che ci
accompagnino a questo nuovo equilibrio.
Vi sono diversi professionisti che possono sostenere gli
ex coniugi in questa trasformazione, sulla base di
professionalità, obiettivi e strumenti differenti.
La mediazione familiare è un processo di
riorganizzazione delle relazioni familiari in funzione di
una separazione/divorzio. Trattasi di un processo
collaborativo di risoluzione del conflitto, in cui il
professionista mediatore familiare (che può essere uno
psicologo, un avvocato o un assistente sociale con
formazione biennale in mediazione familiare), nel
rispetto della deontologia e del segreto professionale,
aiuta i genitori ad elaborare in prima persona un
programma di separazione soddisfacente per sé e per i
figli, e in cui esercitare la comune responsabilità
genitoriale. Importante distinguere la mediazione
familiare dalla psicoterapia familiare e di coppia. In
modo molto sintetico la mediazione familiare si occupa
di mediare tra i genitori al fine di definire
congiuntamente tutti gli accordi riguardanti
esclusivamente la separazione, come ad esempio: la
frequentazione, ripartizione dei beni, educazione dei
figli ecc. La psicoterapia invece interviene su un
terreno più ampio di malessere e promozione del
benessere, ha una centratura sull’ intero arco di vita, da
un punto di vista strettamente psicologico relazionale.
La mediazione familiare è quindi un percorso rivolto ai
genitori finalizzato alla sana genitorialità centrata sul
benessere dei figli, attraverso la motivazione al dialogo
e alla bigenitorialità, prevenendo così il disagio sui
figli.
L’importanza di quanto sopra è sottolineata
dall’approvazione della Legge 8 febbraio 2006 n. 54,
che ha rappresentato una rivoluzione per il diritto di
famiglia, con l’affermazione del principio della
bigenitorialità e dell’introduzione dell’istituto della
mediazione familiare.
La suddetta legge, ampia e complessa, introduce
molteplici innovazioni giuridiche, in particolare con la
bigenitorialità stabilisce in modo inequivocabile il
diritto dei figli di mantenere un rapporto equilibrato e
continuativo con ciascuno dei genitori. Quindi un
diritto che si sposta dal genitore al figlio.
Già dalla precedente conversione, fatta dal legislatore,
del vecchio e superato termine di “patria podestà”, che
racchiude al suo interno significati di proprietà, in
“responsabilità genitoriale”, si accendono i riflettori
sul compito di responsabilità nei confronti del figlio
e ponendo quest’ultimo al centro della giurisprudenza,
come “bene supremo da tutelare”.
Il genitore non è più proprietario del figlio, bensì ne è
responsabile, responsabile del suo benessere
psicofisico, e in quanto tale deve adoperarsi per il
soddisfacimento dei bisogni evolutivi dei figli, tra cui
il diritto di vivere l’altro genitore.
Dunque, la frequentazione con l’altro genitore, non è
più un diritto del genitore, bensì un diritto del minore e
quindi una responsabilità dei genitori.